“Douzou, tabete kudasai”mi aveva sussurrato la
ragazza in kimono dopo aver posto davanti a me una ciotola a forma di mandorla.
Smalto blu profilato oro che custodiva due pezzi di gelatina di hamo, un pesce simile all'anguilla.
La freschezza della
superficie sembra un antidoto al caldo che avvolge ogni cosa.
Aveva ragione a
incitarmi, non riuscivo a decidermi a cominciare il pasto, a mangiare. Parchè
ciò che avevo davanti non sembrava fatto per essere rovinato, masticato.
Mi spiega che la
gelatina è composta da ogni parte del pesce e che quindi un boccone corrisponde
alla sua essenza.
Guardo il viso della
ragazza che mi avrebbe accompagnata in quello che non sarebbe stato un semplice
pasto, ma un viaggio.
I suoi occhi, con una
timidezza infantile, sorridevano.
I petali del sashimi
sono un'alternanza di pesci argentati, carni iridescenti o dalla polpa scura.
L'abitudine a un cibo
occidentale fatto di fusioni, elaborazioni e mescolanze mi fa sentire spaesata
davanti alla naturalezza e alla pulizia degli ingredienti. E del loro sapore.
Ogni stagione ha i suoi
colori, i suoi frutti e i suoi alimenti. E questo nella cucina giapponese non
viene solo rispettato ma esaltato. Quasi a creare uno stretto legame tra
l'ambiente esterno e il piatto.
La freschezza. Le
poche manipolazioni dell'ingrediente sono un altro elemento essenziale, a meno
che non sia una scelta precisa la sua rinuncia.
Sono portate splendide
quelle che mi vengono proposte, il cibo incanta.
Non si tratta solo di nutrimento,
ma di vivere un'esperienza composita, nella quale l'aspetto visivo potenzia
quello alimentare.
Gusto e apparenza si
intrecciano nel piatto per farmi vivere la fragranza dell'estate.
Foto: Francesca Scotti
Elaborazione Fotografia: Sara Piazza
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